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mercoledì 29 aprile 2015

Italiani nel mondo: deludente risposta alle elezioni Comites

Il sito web del Sole 24 Ore riporta un articolo del blogger Giuseppe Chiellino sulle elezioni Comites conclusesi a metà aprile. E’ solo uno degli interventi molto critici nei confronti dei Comitati degli italiani all’estero, organismi di rappresentanza che, a giudicare dai numeri, raccolgono sempre meno consensi da parte degli italiani nel mondo.
“Leggere i risultati di queste elezioni, che comportano  uno sforzo organizzativo degli uffici consolari, è disarmante. La percentuale dei votanti rispetto agli italiani che ne avrebbero diritto a stento supera il 2%. Dove è possibile confrontare i dati. Perché sulle pagine web di molti siti consolari, viene pubblicato solo il numero delle schede pervenute, senza il numero degli aventi diritto. In qualcuno (Buenos Aires) addirittura c’è solo la percentuale di voti ottenuti dalle diverse liste, senza nessun’altra indicazione. A Monaco di Baviera, invece, danno entrambi i dati ed il calcolo è facile: dei 58.178 italiani aventi diritto solo 1178 hanno inviato la scheda al consolato: il 2,2%. Senza contare che quasi 150 di queste schede sono state poi annullate perché imbustate in modo non corretto, bianche o nulle. I voti validi, dunque, sono stati solo 1033. Non è andata meglio a Norimberga: ha votato il 2,15 % dei 16.000 aventi diritto”
 “A Bruxelles ha votato il 2,64%. A Genk, area di ex minatori e oggi operai nel Limburgo, vicino al confine olandese, si scende addirittura all’1,29%. Poi sono andato a curiosare negli Stati Uniti ma mi sono dovuto fermare: online ci sono solo i voti ottenuti dai singoli candidati: la prima eletta a Washington ha ottenuto 47 voti, il primo di Boston 438, quello di Chicago 165…”.
“Il messaggio dei numeri mi sembra chiaro: dei Comites agli italiani che vivono all’estero importa praticamente nulla. Non sarebbe il caso di utilizzare le risorse e le energie che gli uffici consolari devono dedicare ai Comites per qualcosa di più intelligente e fruttuoso, per gli italiani che vivono in Italia e all’estero?”.

lunedì 27 aprile 2015

Il contributo degli italoamericani alla storia del jazz

Il musicista Lino Patruno ha recentemente dedicato un articolo all’apporto degli italo-americani nella storia del jazz. Migliaia di emigrati italiani avevano raggiunto New Orleans, che agli inizi del secolo era diventata un centro di raccolta di contadini e agricoltori provenienti dal sud dell’Italia, che portarono nel jazz gli strumenti a fiato memori della tradizione bandistica dei paesi dell’Italia meridionale che si è sempre tramandata di padre in figlio.
“Il primo musicista che incise il primo disco della storia del jazz nel 1917 era figlio di italiani. Il suo nome era Nick La Rocca  (foto a sinistra) ed era figlio di un ciabattino di Salaparuta in provincia di Trapani che aveva suonato la cornetta nella Fanfara dei Bersaglieri del Generale Lamarmora.
Nick La Rocca era a capo di un gruppo di musicisti di New Orleans chiamato Original Dixieland Jass Band del quale fecero parte altri due musicisti di origine italiana: il batterista Tony Sbarbaro e il pianista Frank Signorelli.
Ma se Nick La Rocca è stato il primo musicista del jazz a cimentarsi con la sala d’incisione, uno dei pionieri del jazz in embrione è stato il batterista George Vitale meglio noto come Jack “Papa” Laine nato nel 1873. Laine diresse per molti anni la Reliance Brass Band a cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 e di questa band facevano parte altri italo-americani fra i quali Vincent Barocco, Pete Pellegrini e il suonatore di basso tuba Giuseppe “Joe” Alessandra nato a Palermo nel 1865 ed emigrato a New Orleans a 30 anni.
Ma la lista degli italo-americani che hanno creato il jazz non si ferma qui. Vorremmo ricordare Leon Roppolo che fu il primo grande clarinettista della storia del jazz, Joe Venuti il primo violinista, Eddie Lang (Salvatore Massaro) il primo chitarrista, Arnold Loyacano il primo contrabbassista, Tony Sbarbaro il primo batterista, Adrian Rollini fra i primi sassofonisti, Santo Pecora fra i primi trombonisti, Jimmy Durante (che diventerà celebre nel cinema) il primo pianista e via dicendo fino ad arrivare ai grandi cantanti Frank Sinatra, Dean Martin (Dino Crocetti), Tony Bennett (Antonio Benedetto); ai grandi compositori: Henry Mancini, Harry Warren (Salvatore Guaragna), Peter De Rose; ai grandi direttori d’orchestra: Nat Natoli, Guy Lombardo, Don Costa; ai grandi solisti del dopoguerra: Joe Pass (Passalacqua), Carl Fontana, Pete e Conte Candoli, Jimmy Giuffre, Tony Scott (Sciacca), Bucky Pizzarelli, Hank D’Amico, Chuck Mangione, Joe Lovano, Chick Corea, Scott La Faro, Johnny Guarnieri, Frank Rosolino, George Masso, Sonny Russo, Joe Morello, Buddy De Franco, Louie Bellson (Balassoni), Charlie Mariano…"

(Fonte: Lino Patruno, da Il Fatto Quotidiano)

sabato 18 aprile 2015

New York / C’era una volta la Piccola Italia

NEW YORK. “La Little Italy che una volta era il centro della vita degli italoamericani in città - scriveva gia’ nel 2011 il New York Times - esiste per lo più come una memoria nostalgica nelle menti dei turisti che ancora la considerano una tappa obbligatoria per i propri itinerari newyorkesi». Al declino della Piccola Italia di Manhattan ha recentemente dedicato un lungo articolo-reportage Andrea Marinelli del Corriere della Sera dal titolo
“ La nuova Little Italy” di cui riportiamo di seguito qualche brano:
“Il quartiere italoamericano più famoso d’America era stato dichiarato morto dal censimento dell’aprile 2010, secondo cui, fra gli abitanti, non ce n’era più nessuno nato in Italia. Nel 2000 ce n’erano ancora 44, mentre nel 1950 erano circa 5.000, la metà di tutti coloro che popolavano le strette strade fra Mulberry, Grand e Mott Street. Mangiata da SoHo, Nolita (North of Little Italy) e Chinatown, con il National Park Service che nel 2010 è arrivato a dichiarare i quartieri italiano e cinese un unico distretto storico, Little Italy è scomparsa, come non hanno mancato di notare negli ultimi anni tutti i quotidiani e le riviste newyorkesi, oltre a un progetto di una studentessa della scuola di giornalismo della City University, lasciato evidentemente morire, come il quartiere, dopo la laurea.
«Una volta Little Italy era come un villaggio napoletano ricreato su questo lato dell’oceano, con la sua lingua, le sue abitudini e i suoi istituti culturali e finanziari», raccontava il New York Magazine già nel 2004 in un articolo intitolato “Arrivederci Little Italy”. Era il quartiere italiano più noto, anche se non l’unico di New York, né il più popolato. A East Harlem, fra Lexington Avenue e l’East River, c’era “Italian Harlem”, dove negli anni Trenta vivevano circa 100.000 italiani e i ragazzi giocavano a stickball in strada; al Bronx gli italiani avevano conquistato Arthur Avenue, dove ancora oggi si può acquistare una delle migliori mozzarelle della città ma dalle finestre dei negozi spuntano bandiere albanesi con l’aquila a due teste; a Brooklyn, al Queens e a Staten Island si erano formate numerose comunità italiane fra Bensonhurst, Carroll Gardens, Astoria e altri quartieri, ognuna con la propria storia, i propri personaggi e le proprie abitudini”.
“La piccola Italia originaria, quella del Lower East Side, continuava però negli anni a mantenere il suo fascino, nonostante gli italiani lasciassero i piccoli e sempre più costosi appartamenti attorno a Mulberry Street alla ricerca di spazi più grandi o affitti più moderati. ......
È così che Little Italy è stata conquistata dalle insegne cinesi, e la pasticceria Ferrara è uno degli ultimi esercizi commerciali rimasti a ricordare i bei tempi andati. Eppure gli italoamericani a New York sono ancora 700.000 e, secondo un rilevamento dell’American Community Survey, i nuovi italiani – quelli nati in Italia e arrivati con l’aereo, senza fermarsi a Ellis Island – erano 49.075 nel 2011. Solo che oggi sono costretti a trovare altrove la tranquillità che una volta si respirava fra i vicoli di Little Italy, fra una partita a scopone al Café Sambuca e un taglio di capelli da Sal, su Mott Street.
Il paesone racchiuso in pochi isolati nel cuore di Manhattan non esiste più, così come sono svaniti quasi tutti i quartieri italoamericani del Bronx, di Harlem e di Brooklyn dove ci si poteva sentire a casa per un po’. Quello che cercano in molti, fra gli italiani di nascita che oggi vivono e lavorano in città, è proprio un posto dove emanciparsi dalla vita frenetica, dal caos, dai rumori urbani e soprattutto dalla Fomo (Fear of Missing Out), la terribile paura di perdersi qualcosa fra i mille stimoli quotidiani che New York offre, a volte anche con l’inganno”.
Nella foto: La Piccola Italia di Manhattan durante la Festa di San Gennaro
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Leggere in altra parte di questo blog: il Museo Italo Americano cerca di sfrattare Adele Sarno, 85 anni, l’ex Regina di Little Italy,  perche’ non puo’ pagare l’affitto.



martedì 14 aprile 2015

Il vino tema del concorso letterario John Fante 2015

Il Comune di Torricella Peligna, nell'ambito del Premio John Fante 2015 e del Festival letterario “Il Dio di mio padre” (X Edizione, 21-22-23 agosto 2015), ha indetto il concorso per racconti inediti dedicato allo scrittore italoamericano sul tema “John Fante e il vino” . Il tema del vino e’ molto presente nell’opera dello scrittore (vedi “La confraternita dell'uva” e “Dago Red”).
Il racconto concorrente dev'essere inedito, scritto in lingua italiana, la lunghezza ammessa del racconto va da un minimo di una cartella ad un massimo di tre cartelle. Ogni autore può presentare un solo racconto. Per formalizzare la propria candidatura, il materiale richiesto dev'essere inviato entro e non oltre il 31 maggio 2015, all'indirizzo premio@johnfante.org.
La preselezione avviene tramite una giuria tecnica, presieduta da Mauro Tedeschini, direttore del Centro, che sceglierà i 10 racconti finalisti, che saranno poi pubblicati sul sito del quotidiano abruzzese “Il Centro”, partner del premio, e saranno sottoposti al giudizio della rete, che decreterà uno dei due vincitori: uno scelto dalla giuria tecnica e uno dunque dalla giuria popolare (gli utenti del sito).
A lungo trascurato in Italia (come altri scrittori di origine italiana negli Stati Uniti e in altri paesi), John Fante è stato oggetto di una riscoperta a partire dalla pubblicazione del romanzo “La strada per Los Angeles”, edito da Leonardo nel 1992. Nel 2003, a vent'anni dalla morte dello scrittore, per la collana I Meridiani della Mondadori è stato pubblicato “Romanzi e racconti”, un volume che raccoglie i quattro romanzi e una serie di racconti, curato dal critico e giornalista Francesco Durante, uno dei maggiori conoscitori italiani di Fante.
Nel maggio 2006 esce il film "Chiedi alla polvere", ispirato dal suo omonimo romanzo. Nel cast, Colin Farrell, Salma Hayek e Donald Sutherland. Produttore Tom Cruise.
Nel 1989 esce il film "Aspetta primavera, Bandini", ispirato dal suo omonimo romanzo. Nel cast, Joe Mantegna, Ornella Muti e Faye Dunaway. Produttore Francis Ford Coppola.
L'8 aprile 2010, giorno del 101º anniversario della nascita dello scrittore, è stato a lui intitolata l'intersezione tra la Fifth Street e la Grand Avenue di Los Angeles, su mozione del consiglio del governo cittadino. Nella John Fante Square, che è situata nella zona di Bunker Hill dove John Fante ha scritto e vissuto, vi è la biblioteca pubblica di Los Angeles (LAPL) che veniva frequentata da giovane dallo scrittore e dove Charles Bukowski ha riscoperto “Chiedi alla polvere”.
John Fante nacque a Denver, nel Colorado, l'8 aprile del 1909 da Nicola Fante, un immigrato italiano originario di Torricella Peligna (in provincia di Chieti), e da Mary Capolungo, una statunitense originaria di Chicago (nell'Illinois), figlia di immigrati lucani.
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Per ulteriori informazioni visitare il sito www.johnfante.org, contattare la segreteria a premio@johnfante.org o la direzione del Festival direzione@johnfante.org o al 347 9235255. 

domenica 12 aprile 2015

Italiani d'America / Non sono Vespucci ne' Cristoforo Colombo

NEW YORK Il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo ha reso omaggio alla memoria del padre durante il gala organizzato dalla National Italian American Foundation (NIAF)  da Cipriani a Manhattan. Per l’occasione è stato istituito il nuovo premio per il “Public Service” dedicato dalla Niaf proprio a Mario Cuomo (per tre mandati governatore dello Stato), recentemente scomparso, assegnato alla procuratrice del Westchester Janet DiFiore. Poi il governatore ha  ricordato Mario Cuomo con un appassionato racconto partendo dalle umili origini dei nonni fino  alla sua rielezione, col padre, costretto a letto, che ascolto’  al telefono l'inauguration, il giuramento e il discorso  per poi spirare pochi minuti dopo. Andrew ha  raccontato che durante la sua carriera  politica ha visitato tutti gli Stati dell'Unione.
"È incredibile constatare quanto sia radicata l'impressione errata e come siano diffusi gli stereotipi sugli italoamericani e la cultura italiana. Ecco perché è importante il lavoro svolto dalla Niaf, perché è importante dire la verità alla gente. Non siamo quelli che credono, non siamo quelli che vedono nei film. Siamo Vespucci, Colombo, Raffaello, Galileo, Michelangelo e Da Vinci" ha detto Cuomo.
Poi ha aggiunto: “Dovunque vai, dalla costa orientale a quella occidentale degli Stati Uniti, li noti subito. I pregiudizi contro gli italo-americani sono ancora presenti e forti, e dobbiamo impegnarci per contrastarli, come ha fatto durante tutta la sua vita mio padre Mario”.
 Andrew ha ricordato che suo padre era “orgoglioso di essere figlio di due immigrati venuti dall’Italia solo con i vestiti che portavano addosso. Perché erano riusciti ad affermarsi in America, far studiare i propri figli, e vedere uno di loro che era diventato governatore dello Stato di New York. Questa è la ragione per cui mio nonno Andrea, da cui ho preso il nome, ripeteva sempre una frase, nel poco inglese che conosceva: God bless America. Chiedeva a Dio di benedire il paese che gli aveva dato tanta fortuna. E mio padre Mario non si distanziava da questa identità, ma al contrario la abbracciava. Ricordava sempre di essere prima di tutto un italiano e poi un americano.  Era orgoglioso di essere frutto di questa storia. Una persona eloquente, raffinata e articolata, ma soprattutto “civile”, come si direbbe nella lingua dei nostri antenati. Ha sempre lavorato affinché i pregiudizi verso gli italo americani fossero superati”.
Comprensibili and giustificate le parole di Andrew per Mario Cuomo, ammirato e rispettato da tutti, ma....
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Caro Andrew, 
non e’ il caso di scomodare Cristoforo Colombo e Vespucci per dire chi sono gli italiani d’America. 
Nei prossimi discorsi, per favore lasci riposare in pace Galileo, Michelangelo e Leonardo. 
Gli italiani d’America non hanno piu’ bisogno di dire di chi sono eredi ne’ tanto meno che sono italiani. Hanno contribuito a costruire questa grande nazione e non ci sono stereotipi che possano smentirlo. Lei non sara' giudicato per essere il figlio di Mario Cuomo, ma come suo padre, sara'  giudicato per quello che fara’, e se il giudizio sara' negativo non ci saranno Vespucci o Raffaello o stereotipi he tengano . Chi sono gli italiani  e’ testimoniato dalle loro vite, dal loro lavoro, dai loro sentimenti,  dalle loro opere e dalla vita quotidiana, e sono questi i metri di giudizio per  tutte le altre  persone che appartengono a tutti gli altri gruppi etnici. 
Personalmente, sono orgoglioso di essere italiano ma confesso che non mi sento ne' Vespucci ne' Dante. Sono semplicemente me stesso e cerco di essere la miglior persona possibile.
Distinti saluti.

New York Blogger

Nella foto: Andrew e Mario Cuomo
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NIAF. Andrew Cuomo, Mario Cuomo, Cipriani NY, Janet DiFiore

giovedì 9 aprile 2015

Skype Translator ora parla italiano

LOS ANGELES. Dopo l’inglese e lo spagnolo, Skype Translator ha imparato due nuove lingue: l’italiano e il cinese. La piattaforma di traduzione in tempo reale consente agli utenti di dialogare su Skype ormai senza più barriere linguistiche.
Se l’italiano rappresenta una grossa sorpresa,  l’introduzione del supporto al cinese è una vera e propria sfida per la casa di Redmond vista la complessità della lingua.  “Il  cinese (mandarino) e’ una lingua molto difficile da imparare - ha scritto in un blog Yasmin Khan di Skype -   "Con circa 10 mila caratteri e molteplici toni, essa rappresenta per chi parla inglese un ostacolo difficilissimo, insieme alla lingua araba, al giapponese e al coreano” .  La scelta dell’italiano è dovuta, invece, al grande interesse suscitato attorno a Skype Translator da parte degli utenti italiani. Questo importante aggiornamento della piattaforma di traduzione simultanea di Skype non porta, però, con se’ solo il supporto a due nuove lingue ma introduce anche ulteriori affinamenti e nuove funzionalità.
L’update di Skype Translator include la possibilità di ascoltare i messaggi nel linguaggio scelto e di poter visualizzare la traduzione in tempo reale delle parole pronunciate dall’interlocutore. Durante le chat, l’interlocutore potrà continuare a parlare anche se la traduzione è ancora in corso. In questo caso, il volume dell’interlocutore sarà abbassato, mentre sarà ampliato quello relativo alla traduzione. Gli utenti, inoltre, potranno disattivare l’audio della traduzione nel caso volessero limitarsi a leggere i testi tradotti.
Vale la pena ricordare  che Skype Translator è disponibile solo ad un numero limitato di utenti che hanno ottenuto l’accesso al programma. Per partecipare al programma di sviluppo, qualora Microsoft dovesse allargare il numero dei  tester, è possibile registrarsi all’interno del sito ufficiale dedicato alla piattaforma di comunicazione. L’app è disponibile per tutti i PC ed i tablet dotati di sistema operativo Windows 8.1 e sarà una della parti integranti del nuovo Windows 10 in arrivo nella seconda parte dell’anno in corso
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Per informazioni: http://www.skype.com/en/translator-preview/



martedì 7 aprile 2015

New York / L'amore-odio tra italiani e irlandesi

NEW YORK. L’ondata di emigrati italiani che si riverso’ a New York verso la fine del secolo XIX  e i primi decenni del XX  incontro' un duro ostacolo in un altro massiccio gruppo etnico che li aveva preceduti ed aveva messo radici dappertutto: quello irlandese.  Inevitabile lo scontro che si e’ consumato nei decenni a tutti i livelli, dalla  politica alla malavita, dalla religione alla legge, dallo sport  all’arte e alla vita di tutti i giorni ed ha avuto come sfondo i marciapiedi, il fronte del porto, i cantieri edili, le chiese, i palazzi del potere, le sale da gioco, gli stadi, il mondo dello spettacolo.  Alla fine, queste due tribu’ hanno imparato a coesistere, a superare le mille barriere che le dividevano e persino a volersi bene, se e’ vero che, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, i matrimoni tra irlandesi e italiani sono diventati molto comuni, trasformando per sempre i rapporti tra i due gruppi etnici.
Gran parte della rivalita’ era comprensibilmente generata da problemi di lavoro. Gli italiani erano disposti a lavorare per un numero maggiore di ore e per meno danaro, tanto che  spesso venivano usati come crumiri. Le risse erano inevitabili e cosi’ frequenti che il quotidiano Brooklyn Eagle scrisse nel 1894 un editoriale dal titolo “Can’t They Be Separated?” (“Non possono essere separati?”).
L’esplosivo rapporto tra irlandesi ed italiani costituisce l’oggetto di un libro di Paul Moses dal titolo “An Unlikely Union: The Love-Hate Story of New York's Irish and Italians” .. ( che si puo’ tradurre  “Una improbabile unione: la storia amore-odio tra irlandesi e italiani”.)
Il libro, di prossima pubblicazione, ha un “cast” di personaggi di primo piano tra cui Madre  Francesca Saverio Cabrini, la Santa degli emigrati, che tenne testa all’arcivescovo  irlandese di New York che voleva rispedirla in Italia; il gangster Al Capone, che mise al sicuro la moglie (irlandese) prima di affrontare una sparatoria coi mafiosi (irlandesi) di Brooklyn; la storia d’amore tra i sindacalisti Elizabeth Gurley Flynn e Carlo Tresca (assassinato nel 1943); l’alleanza tra il gangster Paul Kelly ( Paolo Antonio Vaccarelli all’anagrafe di Napoli  ) col boss della politica municipale “Big Timmy” Sullivan; le frustazioni del detective Joe Petrosino prima di poter esser accettato dalla polizia nuovayorkese controllata dagli  irlandesi; la sfida canora tra Frank Sinatra e Bing Crosby che si disputavano la palma di miglior cantante americano.
Paul Moses,  (padre irlandese e madre italiana) insegna giornalismo al Brooklyn College/CUNY. E’ stato capo redattore per la cronaca di New York  per il quotidiano Newsday, ed ha vinto, in collaborazione con un team di colleghi, il prestigioso Premio Pulitzer.
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Paul Moses: “An Unlikely Union: The Love-Hate Story of New York's Irish and Italians” ,
NYU Press, 368 pagine. ISBN: 9781479871308. Pubblicazione Luglio 2015.
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Nelle foto, dall'alto in basso: Frank Sinatra e Bing Crosby; Carlo Tresca (secondo da sinistra) con Elizabeth Gurley Flynn; Paul Kelly.




giovedì 2 aprile 2015

Ambra Battilana denuncia per molestie il fondatore di Miramax




NEW YORK. Torna alla ribalta, questa volta sulle pagine dei tabloid americani, la modella italiana Ambra Battilana, 22 anni, una delle ragazze “pentite”,  testimone del bunga bunga di berlusconiana memoria che si si è costituita parte civile contro Fede, Mora e Minetti per danni causati da  «perdita di chance lavorative, disagio e patimento psico-fisico», perché considerata alla stregua di una prostituta.
Ora l’oggetto delle accuse di Ambra e’ un personaggio di primo piano nel mondo del cinema americano, Harvey Weinstein che fondò la casa di produzione Miramax con il fratello Bob nel 1979, realizzando film di grande successo come Shakespeare in Love e Pulp Fiction.
La scorsa settimana Ambra, in occasione della “prima”  del musical  ”New York  Spring Spectacular”, al Radio City Music Hall di New York, ha conosciuto Weinstein, 63 anni, spostato e padre di cinque figli, che le avrebbe proposto un incontro per discutere di una proposta di lavoro.
Secondo la prassi, tramite l'agenzia di modelle che rappresenta Ambra, e’ stato fissato un appuntamento col produttore e la ragazza si e’ presentata negli uffici al terzo piano del Tribeca Film Center dove Weinstein era ad attenderla in compagnia di un suo collaboratore. I due uomini  le fecero vedere dei filmati  e poi ebbero con lei una breve conversazione.
Quando l'assistente lascio’ la stanza, Ambra resto’ resta sola con Weinstein che, secondo il suo racconto, le avrebbe toccato il seno dopo averle chiesto se le sue mammelle fossero finte. Poi le infilo’ una mano sotto la gonna, chiedendole di baciarlo.
La modella torinese lascio’ subito  la stanza e denuncio’ per molestie Weinstein al commissariato di polizia di Varick Street dove fu accompagnata da un’amica.  Il produttore e’ stato interrogato ma  subito rilasciato dopo aver fornito alla polizia la sua versione dei fatti: non ha fatto niente di male, quello della ragazza potrebbe essere un tentativo di ricatto, visti anche i precedenti dell’aspirante Miss Italia  che nel 2010 - come ha scritto Il Giornale - aveva denunciato un anziano imprenditore italiano per violenza.
“Questa e’ la vecchia storia di Hollywood, detta e ripetuta, ed e’ una storia molto tragica” - ha detto l’avvocato Mark Heller al New York Daily News - “Questa e’ una ragazza di 22 anni che ha riposto la sua fiducia negli Stati Uniti per il suo futuro”.
Secondo il New York Post, Ambra il giorno dopo l’incidente avrebbe assistito allo spettacolo  “Finding Neverland” al Lunt-Fontanne Theatre di Manhattan, usando i biglietti che lo stesso Weinstein le aveva regalato. L'opinione pubblica e' divisa.
Difficile per Ambra provare le sue accuse, a meno che non sia vera una indiscrezione pubblicata in esclusiva dal Daily News: Weinstein non avrebbe negato ad Ambra di averla “toccata” nel corso di una conversazione telefonica tra i due organizzata (e registrata)  dalla polizia.
Ma, secondo un'altra indiscrezione, Ambra avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia solo 4 giorni dopo aver subito l'affronto: nel frattempo avrebbe cercato, ma inutilmente, di avere una parte in un film prodotto dall'uomo che accusa.

Nessuna accusa contro il produttore

NEW YORK, 11 MARZO. Dopo due settimane di inchiesta l'ufficio del District Attorney di Manhattan ha concluso che non ci sono prove sufficienti per formalizzare le accuse contro il produttore americano.



FOTO: scatenati i tabloid di New York sulla vicenda Battilana-Weinstein





mercoledì 1 aprile 2015

Un Punto d'Incontro per gli italiani di Seattle

SEATTLE. “Lavorano nei laboratori di ricerca della UW (University of Washington), allo Hutch, o al Seattle Children’s Research Institute. Lavorano alla Microsoft e alla Boeing, ad Amazon e alle start-up. Sono i nuovi italiani che vivono e lavorano a Seattle, ed essi vogliono creare un Centro Italiano di Cultura”, dice Peggy Sturdivant che scrive per il seattle.pi online e si occupa della zona Ballard a nord-ovest della  bella citta’ dello Stato di Washington.
Questi sono gli italiani di oggi che sentono la necessita’ di stare insieme, parlare la loro lingua,
farla parlare ai figli e agli altri, rivivere tradizioni ed usanze, organizzare corsi e  dibattiti culturali. Vogliono che i libri che hanno e che stanno ricevendo possano circolare ed esser letti. Vogliono un punto dove incontrarsi.
Il Punto l’hanno gia’ creato virtualmente  sul web ( www.ilpuntoseattle.org) ma ora cercano una sede reale dove poter organizzare eventi, mostre, conferenze, e far mettere radici ad una nuova presenza italiana che possa idealmente riallacciarsi allo spirito dei connazionali che cento anni fa zappavano la terra dove oggi c’e’ South Park o a quei derelitti che furono soccorsi da Santa Francesca Saverio Cabrini, la Santa di noi emigrati, che per loro apri’ un sanatorio e che, per la cronaca,  proprio a Seattle presto’ giuramento per diventare cittadina americana.
Questa iniziativa e’ frutto del coraggio di uomini e donne che vogliono operare in sintonia con altre organizzazioni locali come la Dante Alighieri  (www.danteseattle.org), Sons of Italy, CASA, Festa Italiana Organization, CAI, Seattle-Perugia Sister City Association, Seattle-Trentino Club e che godono della collaborazione del Dr. Franco Tesorieri , il locale Console d’Italia.
Questo gruppo, di cui e' presidente Andrea Callegari, si attiva per Il Punto durante i weekend per realizzare il suo ambizioso progetto. Sono in cantiere un “dinner and dance” e un’asta per la raccolta dei fondi per dare una casa alla libreria  itinerante e per dare a tutti loro uno stabile punto d’incontro.

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